Vietare le terapie riparative non lede la libertà di parola

[1] U.S. Supreme Court rejects challenge to N.J. ban on gay conversion therapy

L'articolo [1], redatto dall'Associated Press e pubblicato da diversi siti LGBT americani, riferisce che la Corte Suprema USA ha emesso un solenne "certiorari denied = il caso non ci interessa" all'appello di chi voleva far abrogare il divieto di terapie riparative sui minori di 18 anni (il maggiorenne che vuol farsi del male arricchendo i ciarlatani ne ha invece facoltà) promulgato dallo stato del New Jersey.

L'anno scorso era successa la stessa cosa con l'analoga legge dello stato della California; gli omofobi hanno provato in ambo i casi a presentare il divieto di terapie riparative come un attacco alla libertà di parola; era un argomento molto debole (come faceva notare la celeberrima giurista Martha Craven Nussbaum, si può limitare la libertà di parola sulle questioni mediche per impedire che la gente si rovini la salute dando retta a chi medico non è), e la Corte Suprema USA lo ha respinto.

Va precisato che i giudici di codesta Corte sono nove, e non sono obbligati a dibattere tutte le migliaia di casi che vengono loro presentati ogni anno - si limitano a dibatterne circa 150 l'anno, e perché un caso venga accolto con un "writ of certiorari", occorre che tre giudici almeno lo vogliano perché particolarmente significativo.

I giudici conservatori, e talvolta dichiaratamente omofobi, in quella Corte, sono più di tre, ma alla pretesa omofoba, a quanto pare, non hanno creduto, ed anche loro hanno considerato questo divieto una semplice questione di politica sanitaria, non di diritto costituzionale, non degna perciò dell'attenzione della Corte.

Anche gli omofobi italiani cercano di presentare un eventuale divieto contro le terapie riparative come un esempio di "pensiero unico" - possiamo rispondergli che queste cose le possono raccontare in parrocchia, ma a Washington, DC, non hanno creduto loro.

Raffaele Yona Ladu