Una madre lesbica cattolica americana tuona e fulmina


Spesso si accusano le persone LGBT che vogliono diventare genitori di farlo per capriccio.

Marianne T. Duddy-Burke mostra in quest’articolo che è falso.

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La reazione di una madre cattolica lesbica al discriminatorio “Inclusion Act” – 11 Agosto 2014

Talvolta il personale è davvero politico.

Oggi ho letto una lettera inviata da tre vescovi cattolici a dei parlamentari americani. La lettera appoggia una proposta di legge che consentirebbe alle agenzie per il benessere dei bambini che ricevono finanziamenti pubblici di rifiutarsi di dare bambini in affidamento ed adozione a coppie omosessuali a causa delle “loro credenze religiose o convinzioni morali”.

La lettera al senatore Mike Enzi (R-WY) ed al deputato Mike Kelly (R-PA), principali sponsor del “Child Welfare Provider Inclusion Act”, dice, “La nostra prima e più amata libertà, la libertà religiosa, deve essere goduta da tutti gli americani, comprese le agenzie per il benessere dei bambini che servono i bisogni delle persone più vulnerabili tra noi – i bambini”.

Dichiarazione di conflitto d'interessi: non solo sono la Direttrice Esecutiva di DignityUSA, un’organizzazione che opera a vantaggio dei cattolici LGBT e delle nostre famiglie, ma io e mia moglie siamo i genitori di due incredibili bambine che ci sono arrivate grazie al sistema di affidamento del Massachussetts.

Le nostre figlie sono nate entrambe in coppie etero, una sposata, una che aveva messo al mondo quattro bei bambini nel corso di oltre 15 anni. Entrambe le nostre bambine sono state date in affidamento perché i loro genitori biologici erano semplicemente incapaci di occuparsene. Una ha passato due mesi in terapia intensiva neonatale, per disintossicarsi dalle droghe che la sua madre biologica aveva assunto per tutta la gravidanza. A causa della sua lunga dipendenza, questa donna aveva perso la potestà di tutti gli altri figli, e viveva per le strade di una città vicina a Boston.

L’altra nostra figlia visse con ambo i genitori finché il padre non fu imprigionato per diversi crimini violenti. Sua madre l’ebbe in custodia per altri due anni, finché alla fine non abbandonò nostra figlia. Quando entrò nella nostra famiglia, poco prima di compiere cinque anni, nostra figlia poteva dire sì e no otto parole, aveva appena imparato a bere il latte ed a dormire in un letto, e dopo altri sei anni continua a ricevere terapia intensiva per essere aiutata a guarire dagli indicibili traumi che ha sperimentato.

Adottare queste due ragazze forti, resilienti, amorevoli, generose, piene di talento è probabilmente la cosa migliore io e mia moglie abbiamo mai fatto.

Sapevamo che I bambini che erano passati per il sistema di affidamento avrebbero portato con sé delle cicatrici, e che queste cicatrici avrebbero coperto profonde ferite. Ma nulla, nei mesi di apprendimento, nelle interviste con gli operatori sociali che alle volte sentivamo più invasive delle visite mediche, nelle cataste di carte che abbiamo compilato prima di qualificarci come genitori affidatari ci aveva pienamente preparato a quello che ci aspettava.

Abbiamo trascorso innumerevoli ore con terapeuti specializzati in trauma, consulenti familiari, terapeuti fisici ed occupazionali, insegnanti, presidi, mentori, tutori, agenzie di sostegno all’adozione, medici, psicofarmacologi, ed altri genitori adottivi, più di quelle di quelle di cui vorrò mai tenere il conto, tutte nella speranza di trovare dei modi per sostenere le nostre figlie.

Abbiamo dovuto imparare a calmare le situazioni in cui la paura diventava violenza, ed una bambina che era sull’orlo dell’affidarsi fiduciosa non poteva – ancora – fare quell’ultimo passo. Abbiamo pianto di gioia quando una di loro afferrava istintivamente le nostre mani quando aveva paura, o sta tranquilla di fronte ad un’intera congregazione religiosa e risponde a tono alle domande che le fanno quando viene alla fine battezzata. Abbiamo cercato di non mostrarci ansiose quando vanno in gita scolastica per un intero weekend. Siamo state in silenziosa ammirazione quando hanno dimostrato grande abilità e passione in attività in cui noi due siamo del tutto incapaci. Siamo state umiliate quando le loro personalità stupefacenti ed uniche – così diverse dalle nostre, ma che incorporano chiaramente le cose che abbiamo insegnato loro – emergono sempre più, e cominciamo ad aver fiducia che abbiano dei futuri luminosi e sani. Insomma, siamo diventate genitrici.

E conosciamo quasi una dozzina di altre coppie omosessuali che hanno adottato anche loro dei bambini con esigenze particolari.

E ci sono centinaia, se non migliaia di altre coppie come noi in tutti gli USA ed all’estero. In quasi ogni caso, loro hanno dato ai figli abbondanza di amore e stabilità. L’intenzionalità con cui hanno scelto di diventare genitori viene riportata nel loro modo di allevare le loro figlie ed i loro figli. Hanno fatto tutte le cose che fanno gli altri genitori, spesso affrontando lo stigma e la mancanza di stabilità legale per le loro famiglie.

L’orientamento sessuale e lo stato civile semplicemente non hanno niente a che fare con l’abilità di una persona di essere un buon genitore. Il nostro denaro pubblico non dovrebbe mai finanziare delle agenzie che giustificano dei pregiudizi da molto tempo screditati contro le famiglie che non si conformano alla cosiddetta norma delle “credenze religiose o convinzioni morali”. Questa sarebbe una grave distorsione del modo in cui da molto tempo viene costituzionalmente intesa la libertà religiosa nel nostro paese, che consente agli individui ed alle istituzioni di praticare la loro fede ed esprimere liberamente le loro credenze religiose, purché tali credenze non ledano i diritti essenziali degli altri. Ed è certo parte di una campagna concertata per espandere la definizione di libertà religiosa per consentire delle pratiche pubbliche discriminatorie in molte arene, tra cui la contraccezione e le questioni LGBT.

La nuda verità è che l’Inclusion Act si basa su uno di due presupposti errati, od entrambi.

Il primo è che le persone gay e lesbiche molestino i bambini, e questo giustificherebbe il ricordare che questo dibattito riguarda “le persone più vulnerabili tra noi”. Abbiamo ora decenni di dati che provano che i maschi etero sono di gran lunga le persone che con più probabilità abusano dei bambini.

La seconda fallacia è che una coppia eterosessuale sposata sia sempre la meglio attrezzata per allevare i figli. Questo è puro eterosessismo, che le ascrive ciecamente la superiorità anche ad onta di significative prove del contrario.

Ci sono delle coppie etero che sono dei genitori esemplari, e ci sono delle coppie omo che sono genitori esemplari. Ci sono delle persone sole che in qualche modo trovano in sé e nelle comunità di sostegno le risorse per essere genitori eccezionali. Ci sono persone gay ed etero, accoppiate e sole che non hanno quel che ci vuole per tirar su i bambini. Alcuni diventano genitori comunque, o per la pressione sociale, una fiducia infondata sulle proprie capacità, o semplicemente come sottoprodotto dell’intimità sessuale. Alcune di queste persone riescono a capire col tempo come si fa il genitore, ed altri non ci arrivano mai. Alcuni bambini finiscono con l’aver bisogno che l’assistenza sociale intervenga e, si spera, trovi loro dei posti in cui possono essere adeguatamente accuditi.

Il cosiddetto Inclusion Act non fa niente per proteggere i bambini.

Anzi, potrebbe continuare a provare i bambini di famiglie potenzialmente amorevoli e stabili. E non fa niente per proteggere la libertà religiosa. Se ci sono delle agenzie che credono davvero di avere il mandato religioso di affidare i figli solo a genitori sposati eterosessualmente, e che ci sono dei genitori che vogliono dare i figli in adozione che invocano codeste agenzie, allora, lasciate che gestiscano il servizio con finanziamenti privati.

Marianne T. Duddy-Burke
Executive Director, DignityUSA