La bisessualità e la sfida alla politica lesbica. Sesso, lealtà e rivoluzione / Paula Claire Rust


I lettori mi scuseranno se ho voluto descrivere i libri [0] ed [1] usando il nuovo formato ISBD 2011, ma l'argomento è assai importante.

Essere bisessuali non garantisce una buona accoglienza da parte delle organizzazioni LGBT, ed un particolare accanimento nei loro confronti lo mostrano molte associazioni lesbiche. Il libro (la rielaborazione della tesi di dottorato di una donna che si dichiara lesbica e non bisessuale) vuole esplorare e spiegare questo fenomeno, e risulta a mio avviso ancora attuale in Italia sebbene sia stato pubblicato a New York 18 anni fa, nel 1995.

Il libro inizia con l'esplorare le opinioni che hanno su se stesse le donne bisessuali, e di loro hanno le donne lesbiche; non essendo possibile procurarsi un campione rappresentativo delle donne lesbiche e bisessuali di un paese (perché, per fortuna, non esiste un censimento completo di costoro), soprattutto se si vuole che il campione rappresenti non solo l'orientamento e l'identità sessuale delle donne americane, ma anche la proporzione di donne delle varie classi sociali, livelli culturali, e perfino dei gruppi etnici e razziali presenti negli USA, l'autrice si è concentrata sulle differenze negli atteggiamenti tra i vari sottogruppi delle donne che è riuscita a convincere a partecipare, piuttosto che sui loro valori assoluti - nella speranza che questo approccio portasse comunque a scoperte interessanti.

Il principale dei pregiudizi nei confronti della bisessualità è che essa non esiste (condiviso, in varie forme, dal 28,85% delle intervistate); una credenza che non piace agli attivisti bisessuali è che ognuno sia in realtà bisessuale - perché questa credenza rende la bisessualità non significativa, e condanna le persone bisessuali all'invisibilità esattamente come la credenza nella sua inesistenza; questa credenza è condivisa da circa il 16% delle intervistate.

Tra le intervistate, il 70,20% ha menzionato spontaneamente delle immagni della bisessualità - ma solo il 4,40% del totale ne ha menzionate di positive; le altre pensano che:
  • Le bisessuali sono in realtà confuse od indecise (11,80% delle intervistate);
  • Le bisessuali sono in realtà in transizione verso una piena identità lesbica (8,70%);
  • Le bisessuali sono in realtà delle lesbiche chiuse nell'armadio (8,10%).
  • Le bisessuali sono delle donne che non vogliono scegliere tra il sesso e la solidarietà tra donne lesbiche ed il "privilegio eterosessuale", e cercano di avere tutto (11,80%);
  • La bisessualità sia un'opzione politicamente impraticabile (perché rappresenta una forma di collaborazione con l'oppressore maschio - 6,80%);
  • Le bisessuali sono doppiamente emarginate (dalla società etero e dalle comunità lesbiche insieme - 4,40%);
  • Le bisessuali sono spregevoli per altri motivi (14,20%).
Tutto questo fa sì che il 96% delle lesbiche intervistate preferisca uscire con altre lesbiche piuttosto che con donne bisessuali, ed il 74% delle lesbiche preferisca avere amiche lesbiche anziché bi, perché qualora l'amica si mettesse insieme con un uomo, questo metterebbe la lesbica a disagio.

Anche quando la relazione è meno intima, la preferenza è altrettanto evidente: l'89% delle lesbiche preferisce un gruppo di discussione guidato da una lesbica anziché da una bisessuale; l'83% preferisce combattere per i diritti delle persone gay [sic] insieme con altre lesbiche; l'80% preferisce che i loro interessi siano rappresentati a Washington, DC, da una lobbista lesbica; il 73% preferisce che sia una lesbica a tenere un discorso sugli "stili di vita alternativi" in luogo di una bisessuale.

Non tutte le lesbiche la pensano così, a quanto pare, e l'autrice Paula Claire Rust ritiene che la principale differenza tra chi non vuole avere a che fare con le bisessuali e chi è disposta ad associarsi con loro sia la presenza di sentimenti eterosessuali, ovvero verso i maschietti.

Non tutte le lesbiche si sentono attratte esclusivamente dalle donne; coloro che più si avvicinano a questo modello sono le persone che meno capiscono i sentimenti delle donne bisessuali, e meno le apprezzano; al contrario, coloro che ammettono di avere dei sentimenti verso i maschietti sembrano empatizzare di più verso le donne bisessuali, ed in proporzione al grado di sentimenti eterosessuali che ammettono in se stesse.

I sentimenti eterosessuali presenti, o le relazioni eterosessuali passate sono il fattore importante? Si è scoperto che la lesbica che ha avuto marito e figli con il sistema di Adamo ed Eva non per questo è più disponibile verso le bisessuali della "gold star lesbian = lesbica dalla stella d'oro (perché non ha mai avuto rapporti con un uomo)"; la spiegazione che viene data è che è più facile giustificare e svalutare le azioni passate (come prodotte dalle circostanze, dai pregiudizi, dall'inconsapevolezza, dalle pressioni sociali, ecc.) dei sentimenti - che provengono dal proprio intimo e rivelano ad una persona quello che è davvero.

Inoltre, le persone tendono a proiettare sulle altre la propria esperienza: ci sono persone che hanno assunto un'identità bisessuale solo transitoriamente, prima di assumere un'identità lesbica - queste sono le persone che con maggiore probabilità negano che una persona possa essere bisessuale sinceramente e per la vita; quando invece una persona si rende conto di aver assunto un'identità lesbica prima di averne assunta una bisessuale (o magari di aver zigzagato tra le due), allora dà più credito alle altre donne che hanno un'identità bisessuale.

Fin qui si è parlato solo dei fattori personali che inducono le lesbiche a dare più o meno fiducia alle bisessuali; quelli che più ci interessano sono i fattori politici, ed anche di questi parla il libro, in modo secondo me solo parzialmente soddisfacente.

Il problema politico principale, secondo Paula Claire Rust (ed anche secondo altri teorici citati da Shiri Eisner nel libro [1], pubblicato nel 2013), sta nel fatto che le persone bisessuali offuscano il confine tra l'eterosessualità e l'omosessualità, cosicché le persone omosessuali non possono più accontentarsi di dire di se stesse: "Noi siamo coloro che hanno rapporti con le persone del nostro stesso sesso e/o genere", perché questa caratteristica non è solo loro.

Peggio ancora, se alla fine degli anni '60 le lesbiche erano considerate un intralcio per il movimento femminista mainstream, perché le loro esigenze venivano considerate troppo particolari, ed era troppo facile sminuire le femministe mainstream dicendo che loro erano in realtà delle lesbiche, e che nessuna, donna "normale" avrebbe condiviso le loro rivendicazioni, nel corso degli anni '70 le lesbiche hanno iniziato la scalata all'egemonia culturale del movimento femminista con un argomento che sembrava irresistibile: poiché le lesbiche non hanno bisogno degli uomini nemmeno per l'amore ed il piacere, le lesbiche sono le donne più autonome dall'uomo, anzi, dall'oppressore maschio, il quale usa l'eterosessualità obbligatoria per procurarsi schiave da sfruttare non solo sessualmente.

Questa scalata all'egemonia culturale ha fatto sì che per molte lesbiche lesbica è la donna che non ha rapporti con uomini - Adrienne Rich ha formalizzato questo parlando del "continuum lesbico", composto da donne che hanno resistito al patriarcato e stabilito rapporti significativi solo con altre donne; trovo anch'io il concetto interessante, ma penso che si sia andati troppo in là e si siano incluse nel "continuum" anche donne di cui si può sapere solo (con limitata certezza) che non avevano rapporti con uomini, e senza sapere se abbiano avuto o desiderato avere rapporti sentimentali e/o erotici con altre donne (mi spiace, non sono tra coloro che pensano che ci sia del lesbismo anche in una grande amicizia tra due donne).

Secondo questa definizione, la bisessuale e l'eterosessuale non solo non sono lesbiche, ma diventano delle nemiche per le donne lesbiche, in quanto hanno rapporti con uomini, gli oppressori, o sono disposte ad averli. L'avere rapporti eterosessuali non viene qui visto come la conseguenza di un sentimento od un'attrazione, ma come una scelta politica in pro dell'oppressore maschio e contro le femmine oppresse.

Chi porta avanti quest'argomentazione distingue la "gay woman = donna gay" dalla "lesbian = lesbica", ed anzi chiama quest'ultima "woman-identified woman = donna ad identità femminile".

La prima è semplicemente la donna che ha rapporti con altre donne (e questo viene considerato un modo maschile di definirla), mentre la seconda è quella il cui stile di vita è d'impronta femminista e non prevede rapporti intimi con uomini.

La donna che si limita a questo viene chiamata "political lesbian = lesbica politica", mentre la "real lesbian = vera lesbica" è quella che ha anche rapporti sentimentali e/o sessuali con le donne.

Nel migliore dei casi, questo discorso mette le donne eterosessuali nella posizione di catecumene, ovvero di coloro che devono imparare che per essere delle vere femministe occorre diventare lesbiche. E le bisessuali nella posizione di traditrici, che dopo aver assaggiato il lesbismo lo hanno sputato.

Non tutte le femministe hanno accettato questo discorso (che sostituisce l'eterosessualità obbligatoria con uno standard non meno oppressivo), e ci sono state delle "vere lesbiche" che si sono sentite usate dalle "lesbiche politiche", che volevano il loro corpo per dimostrare di essere diventate delle femministe mature, ed hanno trovato insopportabile che fossero le "politiche" a spiegare che cos'è il lesbismo a chi lo viveva in prima persona. Ed altre persone osservavano che una definizione di lesbismo che prescindeva dall'effettiva attività sessuale era almeno potenzialmente sessuofobica - e spesso lo è stata davvero.

Tutto questo però permetteva di presentare il lesbismo come una scelta possibile per tutte le donne, conformemente alla tradizione dei movimenti politici progressisti, tra cui quello femminista, il cui scopo è aumentare le scelte disponibili per le persone.

Purtroppo, esiste una tradizione rivale: quella dei movimenti etnici. L'appartenenza ad un'etnia il più delle volte viene decisa alla nascita, da persone diverse dal soggetto, e spesso non si può mutare. L'attivista di un movimento etnico il più delle volte così argomenta: "Voi ci sminuite e discriminate per una cosa che non abbiamo scelto e non possiamo cambiare. Vogliamo invece la parità."

Il (relativo) successo del movimento per i diritti civili dei neri ha convinto negli anni '80 la seconda ondata del movimento femminista, in cui le lesbiche avevano ormai guadagnato una posizione di tutto rispetto, a tentare questa strada.

Questo significa non solo essenzializzare le differenze tra i sessi (ed indebolire ogni argomentazione basata invece sul genere, e sulla rottura del binarismo dei generi), ma anche presentare il lesbismo come una caratteristica innata ed immutabile di alcune donne - ovvero ridurlo all'orientamento sessuale e concepirlo come dicotomico anziché un continuum multidimensionale.

La "fluidità sessuale femminile" (un modo elegante per dire che buona parte delle donne ha in realtà un orientamento bisessuale, che può portare a mutare più volte l'identità sessuale nel corso della vita - ne ho parlato qui) smentisce questo presupposto, che sembra paradossalmente più adatto all'omosessualità maschile, in cui si rinviene una componente biologica e genetica superiore a quella del lesbismo - in una parola, definire i maschi gay come un gruppo etnico è molto più accurato che descrivere così le lesbiche.

Le donne bisessuali non traggono vantaggio dal paradigma etnico, perché sono coloro che lo smentiscono: ad un'etnia si appartiene o non si appartiene, e la presenza di "ibridi" che appartengono a più di un'etnia viene normalmente considerata un fallimento delle politiche dell'identità delle etnie coinvolte.

Creare un'"etnia bisessuale" non sembra possibile, perché la bisessualità non è facilmente identificabile come la monosessualità - l'unica cosa che possono fare le persone bisessuali è scardinare questo tipo di ragionamenti.

Qui finisce il mio riassunto (parziale) del libro di Paula Claire Rust; ora cominciano le mie considerazioni.

Paula Claire Rust, parlando di etnia, pensava soprattutto ai neri d'America, che vengono iscritti alla razza nera soprattutto in base al colore della pelle - i poco riusciti tentativi di Michael Jackson di schiarirlo hanno mostrato che si tratta di una caratteristica affatto immutabile.

Ma non ci sono solo etnie che vengono definite da altri in questo modo: ci sono etnie che hanno dato di sé una definizione più elastica, ed una che conosco discretamente (ho frequentato per qualche tempo una comunità ebraica) è il Klal Yisrael = il popolo ebraico costituitosi in comunità.

Il modo più semplice e comune di essere ebrei è per nascita: per le comunità ebraiche ortodosse ebreo è chi viene partorito da donna ebrea; le comunità riformate dicono che ebreo è chi ha almeno un genitore ebreo e riceve un'educazione ebraica (altre comunità numericamente meno significative hanno altre norme).

Si può diventare ebrei anche per conversione, ma le comunità ebraiche temono assai i convertiti poco convinti, e nel caso delle comunità ortodosse il processo può durare decenni.

Invece uscire da una comunità ebraica è relativamente semplice. Un convertito all'ebraismo ortodosso, se non osserva a puntino tutte le mitzwot, cioè i doveri religiosi che incombono sugli ebrei, viene ritenuto un convertito insincero, ed alcuni anni fa in Israele è stata annullata la conversione di una donna che aveva dichiarato in tribunale di non avere osservato dopo la conversione né la kashrut (ovvero, mangiava e faceva mangiare cibi proibiti) né la tohorat ha-mishpachah (ovvero, aveva rapporti sessuali col marito nei giorni vietati).

Ci sono comunità meno esigenti (come quelle riformate), ma su una cosa sono tutte d'accordo: compiere un atto di culto non ebraico squalifica la persona come ebrea, perché un ebreo può essere ateo, ma non può professare una religione diversa dall'ebraismo.

La somiglianza tra chi fa parte di una comunità ebraica e coloro che fanno parte di una comunità lesbica comincia a delinearsi: in entrambe le comunità si entra con difficoltà ma è facilissimo uscirne. E c'è una forte pressione sociale per farne uscire la gente.

Nel caso ebraico, i cristiani, fino alla Shoah (che ha imposto dei ripensamenti) hanno sempre denigrato gli ebrei, li hanno privati di molti diritti, e fatto di tutto per convincerli ad abbandonare la loro fede ed a convertirsi al cristianesimo.

Ora le varie confessoni cristiane tengono gli ebrei in palmo di mano e fanno di tutto per farsi perdonare gli errori passati; ma, anche se gli ebrei ora sono cittadini come gli altri, soffrono comunque dello "stress da minoranza": la società non è costruita sulle loro esigenze, i pregiudizi contro di loro non sono cessati, l'insegnamento della religione cattolica impartito di default ed il fatto che nelle scuole pubbliche si insegni anche di sabato sono discriminatori contro gli ebrei, e vivere da ebreo in Italia è più faticoso e costoso che vivere da cristiano. La pressione perciò ad uscire dall'ebraismo non è cessata, anche se ovviamente non la si può confrontare con quella del passato.

Simili cose si possono dire delle lesbiche: i pregiudizi contro di loro hanno la medesima intensità di quelli del passato contro gli ebrei, e c'è tuttora una forte pressione perché si "normalizzino" (gli ebrei direbbero: "assimilino"), ovvero assumono il comportamento (se non l'orientamento) delle donne eterosessuali.

Quando un gruppo sociale (gli ebrei o le lesbiche) subisce questo genere di pressioni, chi ne fa parte fa molta fatica ad essere simpatetico con chi ne esce: l'ebreo che viene a sapere che un suo correligionario si è convertito al cristianesimo pensa impulsivamente che chi se n'è andato non lo ha fatto per scelta libera e meditata, ma perché ha ceduto alle pressioni sociali. Peggiore è l'opinione della lesbica che esce con un uomo, o peggio ancora lo sposa.

Le comunità in questa situazione scelgono come dirigenti persone che è poco probabile che "disertino": conosco un ebreo che, avendo sposato (in successione) due donne non ebree, non può candidarsi a ruoli dirigenziali nella sua comunità ebraica, proprio perché l'aver scelto una donna non ebrea (e l'aver avuto da lei dei figli non ebrei) viene considerato un fattore di debolezza. E qualche tempo fa la rivista ebraica americana Forward ha ospitato un dibattito sulla liceità per un rabbino di sposare una persona non ebrea.

Conosco meno bene il caso delle comunità lesbiche, ma posso immaginare che si tendano a scegliere per i ruoli dirigenti donne il cui orientamento sessuale è più decisamente omosessuale, ed a scartare quelle più bisessuali - per paura di ritrovarsi con una dirigente che, avendo avuto rapporti o stretto una relazione impegnativa con un uomo, non può più soddisfare il criterio della "donna ad identificazione femminile". Shiri Eisner parla nel suo libro [1] dell'ex-bibliotecaria di un'associazione LGBT israeliana che ne fu espulsa quando sposò un uomo, "così provando di non essere lesbica".

La soluzione migliore (per le lesbiche - per gli ebrei è impraticabile) sarebbe quella di abbandonare il modello etnico, e tornare a quello femminista della scelta: le donne lesbiche non devono chiedere dei diritti particolari perché loro non possono soddisfare i requisiti della società eterosessista, ma chiedere per tutti la libertà di impostare la propria vita come vogliono e non fa male a nessuno.

A questo punto non ha più senso chiedersi se una persona è etero, omo o bi, cis o trans, perché lo ha scelto o perché non può essere altrimenti, e non ha senso chiedersi se una persona bisessuale tradisce la causa: il/la bisessuale vive semplicemente la propria sessualità, come gli etero, le lesbiche, i gay, cis o trans.